| Cittadella San Paolo, il 'nuovo' stadio tra ristoranti, bar e area shopping NAPOLI - Chi ha speso in ventisei mesi centoventisei milioni per l’acquisto di giocatori è un imprenditore che ha lavorato molto in prospettiva: ha ridato dignità ad un club precipitato molto in basso, ha ricostruito squadra, società e ha creato attorno al Napoli, quarto bacino di utenza in Italia, un giro di affari che un’azienda che si rispetti deve avere.
Ad Aurelio De Laurentiis finora è mancato un tassello nel business- Napoli, probabilmente perchè la decisione non era di sua esclusiva competenza: lo stadio San Paolo, un mostro di cemento abbandonato al degrado e privo di qualsiasi funzionalità, è l’impianto sportivo più brutto d’Italia, dove il terzo anello è chiuso da anni e l’agibilità è consentita di volta in volta, al minimo delle condizioni.
Patron Aurelio ha ben studiato la legge Crimi - passata alla Camera e in attesa di approvazione in Senato - che di fatto accelera la costruzione degli stadi e ai suoi architetti ha già commissionato un progetto per la (ri)costruzione del San Paolo. Non avendo la gestione completa della struttura, si è relazionato con il Comune di Napoli e le volontà, per ora, sembrano convergere nella stessa direzione. «Voglio un San Paolo nuovo, una struttura moderna e all'avanguardia », ha detto De Laurentiis. Un San Paolo nel San Paolo, che però sarebbe riduttivo identificare nel campo da gioco, magari con la sola esclusione della pista di atletica, gli spalti nuovi, le tribunette e un manto erboso da far invidia all’Inghilterra.
Perchè De Laurentiis di mestiere fa l’imprenditore e dieci anni fa già parlava di stadio virtuale, termine che oggi è addirittura abusato. Dal virtuale al reale il passo è breve, assicura il presidente. «Soprattutto se partiamo dal presupposto che allo stadio devono andare i bambini e le famiglie. Se ci abituiamo all’idea che lo stadio ha soltanto come funzione occasionale quella delle partite di calcio e che invece vive, pulsa, sette giorni su sette, ventiquattro ore su ventiquattro di attività collaterali, riuscimao realmente a guardare avanti». Ristoranti, bar, area shopping. E persino un albergo. Così l’imprenditore De Laurentiis guarda al San Paolo.
Un business che garantisca ammortamento degli investimenti nell’arco di un decennio. «Operazione non facilissima - sottolinea il patron - che deve tener conto di una serie di variabili, che attengono sì alla redditività dell’operazione, ma alla crisi economica, ai decreti attuativi delle diverse leggi. Al completamento di tutte le autorizzazioni possibili da parte di sovrintendenze e altri organi». La concertazione con il Comune di Napoli è fondamentale. Per ora, carta bianca. Almeno così pare. De Laurentiis può abbattere e ricostruire il San Paolo, può a avere a disposizione quasi centomila metri quadri, sapendo di dover tener conto che quarantasettemila andranno «riservati» alla mobilità e ai parcheggi.
Il Comune «concede» aree vicine allo stadio - per lo più nella zona di piazzale Tecchio - per un progetto mai realizzato prima da alcun privato. «Sono un imprenditore - aggiunge il presidente - e voglio lasciare la mia impronta a Napoli anche realizzando la città dello sport. Ma non aprirò i cantieri senza che sia tutto completamente approvato e garantito, senza che non abbia studiato le variabili attorno al progetto». Allora, la burocrazia rallenterà tutto? «Il mio impegno di imprenditore c’è.
Ma dovremo preoccuparci, in concomitanza con l’abbattimento del vecchio stadio e l’apertura dei cantieri nella zona, di trovare un’area dove si possa costruire uno stadio prefabbricato che temporaneamente ospiti le partite. Se i tempi sono quelli di tre, quattro anni, mi auguro che siano gare europee». Il Comune dovrà fare uno sforzo e troverà l’area. Il project financing di De Laurentiis è vincente già sulla carta. L’occasione non va sprecata.
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